Si è rivelato un vero e proprio successo di partecipazione il
“Tir Day”, la giornata di protesta nazionale degli autotrasportatori italiani organizzata
da Unatras, alla quale non poteva mancare anche il settore trasporto autoveicoli. Un evento, quello dello scorso 18
marzo, che ha coinvolto diverse città italiane della nostra penisola e che ha
mostrato la capacità di forza e unione di tutto l’autotrasporto.
Sono stati centinaia i camionisti scesi nelle piazze per
protestare contro l’immobilismo delle istituzioni su questioni fondamentali che
ad oggi non hanno ancora ottenuto risposte concrete. Più volte abbiamo
sottolineato l’importanza strategica di questo settore per l’economia nazionale,
considerato che l’85% delle merci in Italia viaggia su strada; un aspetto molto
importante di cui, però, non sembra ne tenga conto il Governo.
Sempre le stesse, dicevamo, le problematiche rimaste ancora
insolute: concorrenza sleale, sicurezza, elevata tassazione. È ormai chiaro che
le imprese italiane del comparto non abbiano più i mezzi per competere con il
resto d’Europa. Fenomeni come il dumping sociale, in virtù del quale i
committenti preferiscono affidare lavori a imprese straniere, e l’attività
irregolare svolta da un numero sempre più cospicuo di vettori stranieri (soprattutto
dell’est) sono tutti fattori nocivi che alterano una legittima concorrenza.
A questi poi si aggiungono costi d’esercizio elevati, che
rimangono i più alti d’Europa e che molto spesso non vengono adeguatamente
compensati dai pagamenti delle committenze, e una burocrazia lenta e
farraginosa: tutti fattori che pesano come un macigno sull’attività delle
nostre imprese. Non è un caso, infatti, che dal 2009 ad oggi sono stati
costretti a chiudere i battenti ben 21 mila di esse, un’emorragia che sembra
destinata a non arrestarsi anche nei prossimi mesi.
Insomma, “Tir Day” ha dimostrato come gli autotrasportatori
italiani siano in grado di compattarsi e di lottare per obiettivi comuni. Ma questo,
tuttavia, potrebbe essere considerato solo un primo passo, perché non è detto che
si possa escludere un fermo qualora il governo non decidesse di discutere
seriamente delle questioni sul tavolo.